L’hamburger che sa di fica e i cetrioli che sanno di cetriolo
Potreste anche non crederci, ma a Milano c’è un posto dove servono un hamburger che sa di fica ed io, a causa della mia tracotanza (che i più astuti fra voi avranno dedotto dal nome del blog), non ho potuto fare a meno di assaggiarlo. L’esperienza è stata comunque singolare.
Ma partiamo dal principio.
Fra le poche certezze della vita c’è il fatto che i celebrity chef sono simpatici come un dito al culo. Sporco di sabbia. All’improvviso, nella notte. Eppure questo dito al culo al pubblico piace: i loro programmi hanno un successo sempre crescente fra la ggente. Come mai? Staremo diventando tutti ricchioni per caso? Forse. Quello che so è che questa mania dello chef/esperto di cibo a tutti i costi ci sta sfuggendo di mano. A questo proposito, in frigo ho una preziosissima bottiglia di champagne che stapperò con somma gioia nel momento in cui su Facebook abiliteranno il pulsante “sticazzi”. Piccola digressione: “sticazzi” recentemente viene usato dalle nuove generazioni come sinonimo di “me cojoni”. No. Sbagliato. Cattivo bimbominkia, cattivo. Adesso a cuccia e guardati questo esempio portato da Castellari:
Dunque quando Facebook ci farà questa grazia la prima cosa che farò sarà cliccare “sticazzi” su tutti quelli che postano foto di cibo su qualsiasi cosa corrisponda ad uno dei segni predetti nell’Apocalisse di Giovanni, ovvero i social media.
Scusa a te non piace mangiare?
A me piace tantissimo mangiare e mangiare bene è una delle cose per cui vale la pena vivere. E mi piace anche cucinare. Ma tutte queste foto e discussioni sul cibo sono in realtà polpette avvelenate (di narcisismo). Diamo due spiegazioni veloci e poi passiamo subito all’hamburger di cui sopra, che è il vero motivo per cui state leggendo questo post.
Perché tutto questo interesse morboso per lo spettacolo del cibo?
La prima spiegazione che mi viene in mente è che la società occidentale ha raggiunto livelli di superficialità fastidiosi. Il cibo mette d’accordo tutti, non esprime e non fa esprimere giudizi morali ma solo giudizi estetici (devo precisare che il “gustoso” è una categoria estetica?). Per cui spendiamo il nostro tempo in attività poco impegnative e immediatamente gratificanti come appunto, parlare delle 50 sfumature di cucinare una bistecca.
La seconda spiegazione, che è anche la più interessante, ci viene da questo studio pubblicato dalla rivista “Appetite” sulla cui autorevolezza e attendibilità confesso di non sapere una mazza per cui se avete informazioni in merito vi sarei grato le condivideste. Lo studio prospetta una correlazione preoccupante fra indice di gradimento dei cooking show e peso corporeo: più alla gente piacciono i cooking show, più tende ad essere in sovrappeso. La logica è questa: guardo la ricetta nel cooking show e poi la cucino a casa. Ma la ricetta del cooking show raramente è un piatto leggero e salutare. Perché, lo sappiamo tutti, le cose più buone sono quelle che fanno ingrassare. E allora che faccio, non lo mangio? Certo che lo mangio. E con molto piacere, perché i miei sensi di colpa sono fortemente attenuati dalla consapevolezza (falsa) di esercitare un talento, cercando di cucinare come solo i grandi chef sanno fare. Dentro di me c’è il Picasso dei fornelli e se per farlo uscire fuori devo aumentare un paio di chiletti, pazienza. Questo per dire la quantità di cazzate che ogni giorno raccontiamo a noi stessi.
Questo atteggiamento porta anche un’altra conseguenza: che, per accontentare una massa di persone che si sentono critici culinari, i locali improvvisano piatti moderni e fusion alla cazzo di cane. Magari semplicemente portando dei piatti sovradimensionati rispetto al contenuto:
Per cui capita che in un famoso pub milanese compaia sul menu del giorno questo piatto, il Tropical Burger:
Non voglio mentirvi, questa scritta mi ha eccitato parecchio in quanto palese espressione di hybris culinaria. Perché avere il solito hamburger con patatine, quando puoi avere la sua versione “cariòca”? Paesaggi esotici, frutta, colori, sapori che sembrava già estate, il tutto evocato da quel peccaminoso mix di ananas, menta, mela e maialino nero. Come se non bastasse nell’attesa, mentre sorseggio una birra (ricordo a tutti che ci troviamo in un pub), la giovane cameriera mi avverte che per il Tropical Burger dovrò aspettare un po’ di più perchè la preparazione è un po’ più complessa. Insomma, long story short le mie aspettative erano simili a qualcosa del genere:
Effettivamente il burger tarda un po’ ad arrivare, ma, a metà della mia birra, eccolo finalmente sulla mia tavola:
Dall’aspetto direi che è proprio un normale hamburger con patatine. Nessun pregiudizio, vado ad addentarlo. Il gusto è allo stesso tempo qualcosa che non avevo mai mangiato prima ma che conoscevo abbastanza bene. In mezzo al sapore indistinto di ananas, menta e salsa di mele c’era l’inconfondibile sapore di vagina. Era come se i miei sensi fossero divisi in una strana out of body experience : il tatto, l’odorato e la vista mi dicevano che stavo mangiando un hamburger, ma il gusto mi diceva che stavo facendo un’altra cosa (che ormai dovreste aver capito).
Sono uscito dal locale abbastanza perplesso, senza aver il coraggio di chiedere al personale se quel gusto fosse qualcosa di voluto o se fosse semplicemente la versione pub food di un esperimento del Dr. Frankenstein. Comunque, ero contento di essere sopravvissuto. Chiaramente non scriverò il nome del locale a meno che i proprietari dell’attività non sgancino liberatoria e grana.
Altri tre episodi hanno segnato la mia settimana : i cetrioli in crisi di identità, la provincia bergamasca e la pasta carissima.
Per quanto riguarda i cetrioli la cosa è abbastanza semplice e può essere riassunta dalla seguente foto:
Sono stato davanti allo scaffale per qualche secondo esaminando le varie possibilità: cetrioli di razza olandese coltivati in Spagna? Cetrioli coltivati in Spagna, esportati in Olanda ed importati in Italia? Dopodichè mi sono rotto il cazzo e li ho messi nel carrello. Con mia somma sorpresa i cetrioli sapevano effettivamente di cetriolo. Basta, fine della storia, per avere recensioni su ben altre caratteristiche tecniche dei cetrioli fatevi un giro su Google e scrivete le cose che sapete bene.
Sono anche andato in un ristorante in provincia di Bergamo dove ho mangiato benissimo ed a prezzi contenuti. I ristoranti così li riconoscete dalla proprietaria che esordisce lamentandosi del fatto che, essendo io e i miei amici non bergamaschi, è costretta a parlare italiano. Perché lei si esprime bene solo in bergamasco. Della discussione con la gentilissima signora, che ci faceva visita tra una portata e l’altra, ricordo alcuni episodi che si pongono agli antipodi di tutto l’universo “fusion” che abbiamo descritto finora e che sono avvolti in una gustosa crosta di provincialismo italiano. A tavola, polenta e stracotto d’asina.
– (la Signora si rivolge al mio amico): Lei di dov’è?
– Io sono di Milano.
– Ah beh quindi è di fuori! E cosa avete di tipico a Milano, nulla!
– Beh, l’ossobuco per esempio…
– Eh, noi l’ossobuco non lo diamo nemmeno agli operai. Ma alla fine è sempre Italia, e come si mangia in Italia, non si mangia da nessuna parte nel mondo. Io una volta sono andata in Francia, ed ho mangiato malissimo… (rivolgendosi a me) E lei di dov’è?
– Io sono di [da qualche parte a Sud del Po]
– (sorpresa, come se avesse visto un fantasma): E LEI MANGIA LA POLENTA?!!!
– Si signora, io mangio anche la polenta.
– E come mai? Io non ho mai visto una cosa del genere!
Non so perchè, tutto ciò mi fa venire in mente Alberto Sordi ed il piatto di maccheroni.
A me, questa scena, non è mai piaciuta.
La terza cosa che mi ha sconvolto ha a che fare con l’invito a pranzo a casa di un amico di un amico. Il pranzo era speciale perché si trattava di cucina macrobiotica. Nemmeno a dirlo, benchè io sia un carnivoro convinto, ero entusiasta di provare questo tipo di pietanze. Dunque mangiamo prima una zuppa seguita da un piatto di due diversi cereali (di cui non ricordo il nome) con verdure. Tutto buonissimo, come fosse cucinato dalla nonna. Mentre mangiavo, mi venivano date delle informazioni sulla cucina macrobiotica e la difficoltà di procurarsi le materie prime dato che devono avere un processo produttivo controllato. Poi, mentre mangio, mi viene messo davanti questo pacco di pasta:
Ecco, vedere mezzo chilo di pasta a 4.60 € mi ha sconvolto abbastanza. Tra l’altro la dieta macrobiotica prevede il non mangiare cose come carne e formaggio. Considerazioni personali: col cazzo. Forse – e dico forse – camperò 10 anni di meno, ma almeno me la sono goduta.
Dal prossimo post torniamo alle cose serie, nel frattempo si accettano proposte per campagne di trolling rivolte a quelli che postano le foto del cibo su Facebook.
Bon appétit.
Sono un romano trasferitosi a Verona: anche io sto portando avanti la battaglia sul vero significato dello “sticazzi”! Roba difficile da fare entrare in testa a stiamo leghisti però…
Ad ogni modo bravo, scrivi bene cose simpatiche e anche diverse dal coro. Continuerò a seguirti.
Solidarietà per la tua battaglia! E grazie per i complimenti,
chiaramente avere un blog sulle più diverse espressioni della società è
un atto di hybris (oltre che da presuntuosi). Comunque finchè ci siete
voi che mi leggete io scrivo =)
Complimenti anche da parte mia, ma nun me toccate la scena dei “maccaroni”. 😉
Haha grazie, beh su quella scena si potrebbe stare a parlare per giorni, cmq per me c’è una forte componente soggettiva. Rimandiamo il tutto ad un post futuro che ne dici? 😉
Quando vuoi! 🙂 Ovviamente intendiamoci, de gustibus ecc. ecc… ma io sono un fan sfegatato dell’Albertone nazionale (specialmente quando era nella sua età dell’oro, cinematograficamente parlando…), e quindi “prenderne le difese” è quasi un riflesso pavloviano per me! 😀